giovedì 17 ottobre 2013

SCONTI MULTE ANCHE SUI PREAVVISI. LA NOTA DEL MINISTERO

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Il Ministero dell'Interno chiarisce che al di là delle comprensibili scelte giuridiche di escludere l' applicazione di tale norma al preavviso di accertamento (articolo 202 C.d.S.), anche in ragione dell’assenza di un preciso dettato normativo in materia,  esigenze di semplificazione del procedimento e di equità sostanziale portano a valutare l’opportunità di accordare ugualmente il beneficio anche durante il tempo in cui il trasgressore può pagare in modo bonario, dopo la redazione del preavviso di accertamento e prima dell’invio del verbale.


La nota integrale del Ministero dell'Interno

MINORE STRANIERO AFFIDATO IN KAFALAH, VISTO D'INGRESSO NEL TERRITORIO NAZIONALE. LA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE

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La Cassazione, sezioni unite, con la sentenza 16 settembre 2013 n. 21108 si è pronunciata su una questione di particolare rilevanza e cioè sull'affidamento tramite istituto della kafalah a cittadino italiano di minore straniero e sul conseguente nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale.


Il fatto riguarda un cittadino italiano, stabilitosi temporaneamente per lavoro in Marocco che decide insieme alla sua famiglia di prendere in affido un minore, abbandonato dalla nascita, tramite l'istituto della kafalah.

Trattasi di un istituto presente in molti ordinamenti di diritto islamico con il quale viene tutelata l'infanzia, è una sorta di tutela sociale con la quale un soggetto si obbliga a mantenere il minore, ad educarlo e proteggerlo fino al raggiungimento della maggiore età. Con questo provvedimento, però, il minore non cessa i suoi rapporti con la famiglia di origine (anche se si trova in stato di abbandono) per cui in realtà non entra a far parte della nuova famiglia e non acquista un legame con le persone che si prendono cura di lui.

La differenza con l'istituto dell'adozione presente, invece, nel nostro ordinamento giuridico è giustificata dal fatto che in questi paesi anche il sistema giuridico è influenzato dalla religione ed il corano vieta espressamente l'adozione considerandola peccato. I vincoli di volontà divina (quali sono quelli familiari) non possono essere costruiti o modificati in maniera artificiale dall'uomo. Ciononostante si pone comunque il problema di proteggere l'infanzia in luoghi in cui troppo spesso i bambini si trovano a vivere abbandonati a loro stessi o perché hanno perso i genitori o perché sono stati appunto abbandonati.

La kafala è stata riconosciuta dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 Novembre 1989 nella quale all'articolo 20 si legge: "1. Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato..." ed ancora "2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. 3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo dell’affidamento familiare, della kafalah di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica”.

In ogni caso l'ingegnere italiano dopo aver ottenuto il minore in affidamento si è visto costretto per esigenze di lavoro a trasferirsi in Kazakistan e ha deciso di far tornare la sua famiglia in Italia. In quest'occasione il Tribunale di Tangeri autorizzava i coniugi a chiedere il passaporto del bambino ed a lasciare il territorio marocchino. Successivamente i due affidatari chiedevano al Consolato d'Italia a Casablanca il visto d'ingresso per ricongiungimento familiare ma questo, con un successivo provvedimento, veniva negato per i seguenti motivi: "con il rilievo che l'istituto della kafalah, non essendo assimilabile all'adozione, non era inidoneo a giustificare l'accoglimento della domanda e che, comunque, il minore non avrebbe convissuto con gli affidatari e il tribunale di Tangeri non ne avrebbe autorizzato l'espatrio.".

Contro questo provvedimento veniva proposto ricorso al Tribunale di Tivoli che, in accoglimento delle ragioni della famiglia ricorrente, considerato che il bambino aveva vissuto sin dai primi giorni di vita con loro e che il minore era stato autorizzato all'espatrio, disapplicava il provvedimento ordinando all'Autorità consolare di rilasciare il visto ritenendo che la Kafalah fosse idonea per la richiesta di ricongiungimento.

Questa decisione veniva completamente ribaltata dalla Corte d'Appello di Roma alla quale si rivolgevano con ricorso il Ministero degli esteri e dal Consolato d'Italia di Casablanca con la motivazione che la richiesta di visto era un tentativo di aggiramento della disciplina nazionale dell'adozione internazionale, che prevede un rigoroso accertamento dei requisiti d'idoneità dei genitori affidatari, che in ogni caso l'adozione internazionale non avrebbe potuto essere dichiarata poiché, come abbiamo già detto, tale istituto non è previsto dal paese di origine del ragazzo e che non esistono accordi bilaterali tra Italia e Marocco in tal senso.
Contro tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, sulla scorta del fatto che in ogni decisione presa su questioni che riguardano minori le ragioni superiori che devono essere seguite sono quelle dell'interesse di quest'ultimo, principio espressamente affermato dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e desumibile anche dagli artt. 2 e 30 della nostra Costituzione. L'esclusione in via assoluta per un cittadino italiano di ottenere il ricongiungimento con minore extracomunitario a lui affidato con provvedimento di kafalah farebbe sorgere anche il sospetto di illegittimità costituzionale per la disparità di trattamento dei minori stranieri che hanno bisogno di protezione.

Ora sicuramente il minore straniero affidato in kafalah non potrà rientrare nella qualifica di discendente sia sotto il profilo biologico che anche sotto quello giuridico dell'adozione ma sicuramente può essere ricompreso nella definizione "altri familiari" per i quali il cittadino italiano può chiedere ed ottenere il ricongiungimento.

Per questi motivi la Suprema Corte nella sua conformazione a Sezioni Unite, pronunciando il provvedimento ex art. 363 c.p.c., così decide: "Non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito.".

Barbara Luzi

lunedì 7 ottobre 2013

COSTRINGERE IL CONDUCENTE DI UN MEZZO A FERMARSI CONFIGURA VIOLENZA PRIVATA. LA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione, sez. V penale, con la sentenza n° 23495 del 03 giugno 2013, ha condannato un soggetto per il delitto di violenza privata perché aveva impedito alla parte offesa di procedere con la marcia a bordo del suo mezzo parandosi di fronte ad esso.


La Corte di Appello di Catania aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Catania per i delitti di violenza privata e minacce.

Contro tale sentenza il condannato proponeva ricorso per Cassazione sulla base di diversi motivi che, però, gli ermellini non hanno ritenuto di accogliere in quanto manifestamente infondati.
Il Giudice di merito, infatti, aveva correttamente inquadrato il comportamento del condannato sulla base di idonee risultanze probatorie acquisite nei giudizi precedenti rendendo superflua una eventuale integrazione istruttoria richiesta dal legale della parte ricorrente.
Così come la Suprema Corte non poteva chiaramente esperire una nuova attività istruttoria atteso che questa è stata già correttamente svolta e risulta evidenziata nella motivazione della sentenza.
Anche le doglianze relative alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena e alla pretesa tardività della querela sono da respingere in quanto generiche e prive di valore probatorio.

Il quinto motivo, relativo alla violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al reato di violenza privata in danno della parte lesa è infondato perché nella giurisprudenza della Corte integra gli estremi del delitto "la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa".
Dall'esame dell'operato della Corte territoriale si è potuto evincere che risultava chiaro tale comportamento da parte dell'individuo condannato "non avendo la parte lesa potuto proseguire la sua marcia con il motorino in conseguenza del comportamento dell'imputato, paratosi avanti lo stesso". In quel frangente lo stesso personaggio procedeva anche a minacciare la parte lesa con l'espressione "...avrebbe saputo lui come fargliela pagare cara".

Per questi motivi la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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sabato 5 ottobre 2013

TRATTATO ONU SULLE ARMI, L'ITALIA E' IL 5° PAESE A RATIFICARLO.

La strada è ancora lunga, occorrono infatti 50 stati per dare forza di legge in ambito internazionale a questo trattato, ma il nostro paese in questo caso potrebbe essere un esempio da seguire all'interno dell'Unione Europea.


L'Italia è stato infatti il 5° Stato, sui 112 firmatari, ad approvare il Trattato sulle armi adottato a New York dall'Onu lo scorso due aprile. Anche gli Stati Uniti hanno firmato la convenzione ed ora il testo sarà sottoposto al Congresso.

Il Trattato sottopone a dei limiti più stringenti la compravendita di armi che secondo uno studio nel 2011 ha fatto girare circa 1.740 miliardi di dollari.

Questa convenzione si pone come obiettivo, quindi, quello di regolare a livello internazionale una materia della cui assenza di regolamentazione hanno fin'ora approfittato coloro che hanno alimentato il traffico illecito di armi soprattutto a danno di quelle popolazioni che sono vittime di conflitti armati e di promuovere ulteriormente i diritti umani che, purtroppo, vengono ostacolati e messi a dura prova continuamente da ragioni di ordine economico.

TESTO DEL TRATTATO: http://treaties.un.org/doc/Treaties/2013/04/20130410%2012-01%20PM/Ch_XXVI_08.pdf#page=21

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LA CASSAZIONE SULL'ADDESTRAMENTO COI COLLARI ELETTRICI: CONFIGURA IL REATO DI MALTRATTAMENTO DI ANIMALI

Con la sentenza n. 38034/13 depositata il 17 settembre, la Corte di Cassazione, sezione III Penale ha confermato l'indirizzo della giurisprudenza precedente rigettando il ricorso presentato da un soggetto il cui cane era stato trovato a vagare incustodito sulla pubblica via. Al momento del ritrovamento l'animale indossava un collare elettrico ed il soggetto era stato condannato per maltrattamento di animale.

Infatti il collare elettrico si basa sulla produzione di scosse o altri impulsi elettrici che, tramite un comando a distanza, si trasmettono all'animale provocando reazioni varie "difficilmente valutabili sul comportamento dell’animale, talvolta reversibili, altre volte permanenti, ma comunque considerabili maltrattamento".

Già il Tribunale di Rovereto in prima istanza aveva punito il soggetto per il reato contravvenzionale previsto dall'art. 727 comma 2 c.p. perché utilizzava il collare elettrico per reprimere i comportamenti "sbagliati" dell'animale. Tale giudizio si era basato sia sulla relazione del veterinario che aveva visitato l'animale che anche sulla specifica ordinanza del Ministero della Salute (ordinanza del 05 luglio 2005 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 09 luglio 2005).


La Suprema Corte, ha dato quindi continuità al precedente orientamento (
Sez. 3, Sentenza n. 15061 del 24/01/2007), ritenendo che il collare elettrico sia incompatibile con la natura del cane. 
In sostanza si tratta di un addestramento basato esclusivamente sul dolore e che incide sull’integrità psico-fisica dell'animale poiché produce la somministrazione di scariche elettriche, volte a condizionarne i riflessi ed indurlo tramite gli stimoli dolorosi ai comportamenti desiderati. Tale pratica produce numerosi effetti collaterali tra i quali paura, ansia, depressione ed anche aggressività dell'animale ed è, pertanto, da censurare.

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